Cosa ci facevano quattro pinguini nel cortile di Bertona a metà degli anni ’60?
La scena sembra uscita da un sogno o da un film in bianco e nero: un piccolo cortile, un camioncino, e quattro pinguini che si muovono impacciati sull’asfalto bagnato. Ma non è fantasia.
Successe davvero, qui, a Borgomanero, quando la pubblicità viaggiava su ruote e il marketing era
fatto di voci, sguardi e stupore.
Il camioncino in questione era un mezzo speciale, allestito da Bertona per un’azienda di filati di lana: Pingouin — quella con il logo del pinguino stilizzato. Davanti, una vetrina mostrava gomitoli colorati ordinati con cura; dietro, una vera e propria attrazione: una piccola vasca visibile dai finestrini posteriori, dove nuotavano veri pinguini.
Un’idea ardita, geniale e un po’ folle: portare i pinguini in giro per fiere e mercati, per farli vedere a chi li aveva incontrati solo nei libri o nei primi documentari in televisione, rigorosamente in bianco e nero.
I dipendenti più anziani ancora ricordano quel giorno in cui gli animali arrivarono in fabbrica. “Li tenevamo al fresco”, raccontano, “innaffiandoli con acqua fredda, come si fa d’estate con le piante”.
Era un’altra epoca, fatta di invenzione e improvvisazione, quando la pubblicità si costruiva con le mani e la meraviglia era il linguaggio più potente di tutti.
Oggi ci sembra impossibile pensare a una simile trovata, ma allora era così che si faceva marketing: andando tra le persone, facendo toccare con mano il prodotto, accendendo la curiosità.
Un camioncino, qualche gomitolo di lana e quattro pinguini bastavano a trasformare un giorno qualunque in un evento da ricordare.
Forse è per questo che quella foto, in bianco e nero, ancora ci colpisce: perché racconta di un tempo in cui la creatività aveva l’odore dell’officina e la pubblicità sapeva ancora farci sorridere con semplicità.


